Villette è un fuoco che nasce. Nel 1853 esce l’ultimo libro di Charlotte Brontë. Pubblicato in tre volumi, è, tra i romanzi di Charlotte Brontë, quello più autobiografico. Ed è per questo che l’ho scelto per questo nuovo articolo di Libroterapia. Ho acquistato questo libro diversi anni fa, desiderando conoscere maggiormente la penna che ha scritto il romanzo che più amo, Jane Eyre. L’ho lasciato in libreria per diverso tempo. Gli accumulatori seriali di libri ce l’hanno questo vizio. Quello di acquistare sempre più libri di quelli che leggono.
Ma dato che i libri, come tutte le cose belle, hanno un che di divino, non conoscono l’impazienza. Rimangono lì ad aspettarci finché ci ricordiamo di loro. Finalmente ho scoperto Villette, il più misterioso dei libri di Charlotte Brontë. Una scrittura più articolata, meno d’impatto. Se Jane Eyre si divora, Villette si assapora e ci avvicina alla parte di noi che non conosciamo. Il rimosso.
Pur tornando le tematiche presenti anche in Jane Eyre (una protagonista femminile sola al mondo, il mestiere di insegnante e la scoperta dell’amore), qui siamo di fronte a un romanzo che sembra essere più una riflessione su se stessi e sulla propria esistenza. Forse il motivo sta nel fatto che Charlotte Brontë lo scrisse nel 1848, all’indomani della morte dei suoi amati fratelli. In Villette sembra chiara l’intenzione di dar spazio a un turbinio di emozioni, invadere le pagine con il caos che queste trasportano e fissarle grazie al potere della parola scritta. L’occasione di esplorare il proprio vissuto e il proprio dolore diventa anche la nostra occasione. La possibilità di esplorare anche la parte più buia di noi, protetti dalla storia che stiamo leggendo.
Per questo considero Villette un fuoco che nasce. Che scalda il lettore senza bruciarlo. Perché Lucy, la protagonista, conserva questo fuoco dentro di sé e ce lo mostra solo nei momenti centrali del romanzo, ostentando per il resto del tempo una calma apparente, quasi un gelo. Non a caso, di cognome fa Snowe.
Così, nella catalessi e nel coma mortale, chiudevo accuratamente tutto ciò che di vivo era nella mia natura
La tempesta s’impadronì di me tirannicamente; fui risvegliata bruscamente e costretta a vivere
Il libro prende ispirazione, come detto, da una vicenda autobiografica. Dalla permanenza dell’autrice a Bruxelles, come insegnante e allo stesso tempo allieva. Vi si era recata assieme alla sorella Emily, con lo scopo di apprendere il francese, per poi tornare nello Yorkshire e aprire una scuola propria. Qui si innamorò di un insegnate sposato, Heger. Charlotte gli scrisse delle lettere, alle quali l’uomo non rispose mai. Già al centro del suo primo romanzo, The Professor, questa figura ritorna trasposta e più potente in Villette.
Villette è una città immaginaria del Belgio, in cui la protagonista, Lucy Snowe, si reca in cerca di un lavoro come insegnante, ottenendolo presso il Collegio Femminile di Rue Fossette, e dove ritroverà parte del suo passato. Qui passerà un lungo periodo, nella Scuola di Mme Beck, entrando in contatto con i due personaggi che susciteranno in lei i sentimenti che trainano l’intero romanzo: il Dottor John Graham e il Professor Paul Emanuel.
Avrà occasione di imparare il francese, delle nuove abitudini e la possibilità di formare la propria personalità. Di comprendere quanto è evidente nel mondo la disparità fra gli esseri viventi. Di ragionare sulla Religione. Sul suo credo di appartenenza, il Protestantesimo, e sul Cattolicesimo. Di scoprire l’amore. Di imparare ad indirizzarlo nella giusta direzione.
Villette è un fuoco che nasce. Perché descrive la vita nella sua totale assenza di risposte. Un destino che non ci è dato conoscere e che non ci è amico. Ci mette in contatto con la nostra natura caduca, di esseri mortali. Quella che cerchiamo di dimenticare con le nostre vite organizzate e colme di impegni. Proprio laddove cerchiamo di celare Charlotte Brontë ci prende per mano, non a caso in molteplici punti dell’opera si rivolge direttamente al lettore, e ci invita a guardare al di là del paradosso. A capire che solamente prendendo consapevolezza della nostra finitezza possiamo entrare in contatto con la nostra vera natura.
Credo tuttavia che la speranza e il sole addolciscano anche le sorti peggiori. Credo che questa vita non sia tutto; che non sia l’inizio né la fine
Ho incontrato Villette, come ho detto, diversi anni fa. L’ho letto, però, solo recentemente. Mi ha accompagnata in un percorso costellato da un’operazione alla tiroide, dalla successiva convalescenza, da mal di testa e mal di gola, da voce continuamente rauca e notti agitate. Di quel periodo ricorderò sempre il sollievo provato dalla presenza al mio fianco dei miei cari, del mio gatto e di Lucy Snowe. Il suo lucido sguardo sul mondo e, al contempo, la sua passione nascosta eppur viva, mi hanno confortata e sono diventati un esempio a cui guardare ogni volta che mi sentirò nuovamente intimorita dalla vita.
Vedere e conoscere il peggio è togliere alla paura il suo più grande vantaggio
Charlotte Brontë
Villette
Traduzione in italiano, per Fazi Editore, di Simone Caltabellotta
Pagine: 634
Qualche parola in più su “Villette”, sul mio Canale Youtube: https://www.youtube.com/watch?v=UnqjvVeRepg&t=1s