L’Influenza di Simone Weil su Elsa Morante.
Quando lessi La Storia di Elsa Morante rimasi profondamente colpita dal continuo stato di precarietà, povertà e dolore in cui tutti i personaggi della vicenda si trovano.
Il male non risparmia nessuno, nemmeno le creature indifese e speciali come il piccolo Useppe e gli animali (come i cani Blitz e Bella).
Il lettore rimane ossessionato da una giustissima domanda: è veramente necessario tutto questo? La risposta è: sì, tutto questo è non solo necessario ma indispensabile.
Io l’ho scoperto analizzando i testi che furono di proprietà della Morante, e che oggi sono conservati alla Biblioteca Nazionale Centrale di Roma, di un’altra grande personalità del 900, la filosofa Simone Weil.
In quei testi appare chiara L’Influenza di Simone Weil ne “La Storia” di Elsa Morante.
Le pagine dei testi weliani appartenuti alla Morante sono piene di asterischi, sottolineature e commenti come “Arrivata una volta alla stessa conclusione (e pensavo di aver fatto una scoperta!)” che evidenziano quanto Elsa si sentisse vicina al pensiero della Weil.
Vi è infatti una forte presenza dei pensiero weliano nelle opere morantiane, soprattutto La Storia e Il Mondo salvato dai ragazzini.
Nella Storia, le difficoltà, le paure e la sofferenza sperimentate dai personaggi portano al distacco dal mondo materiale. La paura di Ida, che lei e i suoi figli possano essere deportati nei campi di sterminio, per le loro origini ebraiche, la spinge a non circoncidere o battezzare il figlioletto Useppe, per evitare che lo si possa trovare.
Il bimbo nasce e cresce ignorato dalla società e completamente distaccato dal mondo materiale:
Non battezzato nè circonciso, nessuna parrocchia s’era preoccupata di riscattarlo; e lo stato di guerra, con la confusione crescente degli ordini, favoriva il suo bando dalla creazione.
MORANTE E., La Storia, Einaudi
Useppe è inesistente agli occhi del mondo, la sua sofferenza e quella della sua famiglia sono inascoltate e per questo al lettore fanno ancora più impressione. Questo sradicamento è, però, visto dalla Weil come necessario alla ricerca di ciò che è davvero reale; oltre ogni apparenza:
È necessario sradicarsi. Sradicarsi socialmente. Esiliarsi da ogni patria terrestre. Sradicandosi si cerca qualcosa più reale.
WEIL S., Quaderni II, Adelphi
Il reale, per la Weil e la Morante, non è di questo mondo: la società in cui si vive è “figlia dell’irrealtà” e nient’altro che “uno scherzo”, come sottolineato nella canzoncina che giunge alle orecchie di Useppe, “cantata” dagli uccellini:
A quanto pare, la canzonetta s’era diffusa, nel giro degli uccelli, diventando un’aria di moda, visto che la sapevano anche i passeri. E forse, costui non ne conosceva nessun altra, visto che seguitava a ripetere questa sola, sempre con le stesse note e le stesse parole, salvo variazioni impercettibili:
“ È uno scherzo
uno scherzo
tutto uno scherzo”
MORANTE E., La Storia, Einaudi, Torino, 1974.
Similmente, la Weil definisce ciò che è convenzionale una “finzione” dalla quale bisogna staccarsi:
Le convenzioni particolari, quali la monarchia, sono oggetti fittizi. Noi cerchiamo le ombre delle convenzioni. Siamo incatenati nella società. La società è la caverna. L’uscita è la solitudine.
WEIL S., Quaderni III, Adelphi
La realtà non ha niente a che vedere con il periodo storico o la società in cui si vive; queste sono, infatti, luogo di “apparenze confuse”.
Per accedere al reale bisogna distaccarsi da ciò che è convenzionale, dal sociale, fino all’estremo sacrificio, quello della morte. Anche quest’ultimo, estremo e drammatico passo è considerato necessario dalla Weil e questa sua convinzione è ripresa con simili parole dalla Morante. Ogni essere umano e ogni elemento si somigliano fra di loro e costituiscono un’unica essenza universale e infinita.
Una volta che si è colta questa somiglianza la morte di un essere smette di essere un fatto drammatico perché l’esistenza del tutt’uno continua:
Identificarsi con l’universo. Tutto ciò che è meno dell’universo è sottoposto alla sofferenza. Inutile che io muoia, l’universo continua. Ma se l’universo è alla mia anima come un altro corpo, la mia morte cessa di aver per me più importanza di quella di uno sconosciuto. Così anche la sofferenza.
WEIL S., La persona e il sacro, Adelphi
L’esistenza è una, la stessa in tutte le cose viventi. E il giorno che la coscienza lo sa, che cosa rimane allora alla morte? Nel tutti-uno, la morte non è niente: forse che la luce soffre, se tu, o io, chiudiamo le palpebre?!
MORANTE E., La Storia, Einaudi
Ai personaggi della Storia (in particolare a Useppe) è, inoltre, data un’arma. Per aiutarli ad affrontare e a sopportare il dolore e per permettergli di distaccarsi da un mondo illusorio e accedere al reale. Quest’arma è l’arte e, nello specifico, la poesia:
Poesia. Rendere amabili le cose orribili in quanto orribili.
Simone Weil, Quaderni II, Adelphi
Ne La Storia, Useppe ha la capacità di cogliere l’analogia fra tutte le cose esistenti sin dai primi mesi di vita. Quando a gattoni si ritrova ad esplorare ogni angolo della casa ed è solito chiamare con la parola ttella (stella), più cose:
Una delle prime parole che imparò fu ttelle (stelle). Però chiamava ttelle anche le lampadine di casa, i derelitti fiori che Ida portava da scuola, i mazzi di cipolle appesi, perfino le maniglie delle porte, e in seguito anche le rondini.Elsa Morante, La Storia.
Questa capacità di cogliere le somiglianze fra i vari elementi si tradurrà presto in poesia:
“Le ‘ttelle come tante rondini che si salutano. E negli alberi.
“Il fiume come belli capelli. E i belli capelli.
“I pesci come canarini. E volano via.
“E le foie come ali. E volano via.
“E il cavallo come una bandiera.
“E vola via”
MORANTE E., La Storia, Einaudi
Sperimentando la sofferenza ci si distacca da un mondo di finzione e solo una volta avvenuta tale separazione si è in grado di cogliere la somiglianza fra tutte le cose e di sentirsi in contatto con l’infinito.
Se si legge La Storia conoscendo il pensiero della Weil, sapendo quanto la Morante vi abbia attinto, si alleggerisce il sentimento pietà e di compassione che si prova, a primo impatto, nei confronti dei personaggi.
Si capisce che il cammino che la Morante gli fa compiere ha come meta la possibilità di accedere alla realtà. Di divenire “universali e infiniti”, oltrepassando confini spazio-temporali e la morte stessa. Una gran meta, direi.