A volte mi guardo da fuori

Sguardi, biblioteche e barriere
A volte mi guardo da fuori

A volte mi guardo da fuori. Da fuori mi dico, finché non provi non sai. Finché non ci passi, non puoi capire. Sto dando un giudizio su me stessa, ancora non so se positivo o negativo. Non prendo una decisione, perché sarebbe come giudicare il giudizio, e forse è il caso che io gli metta un freno, al giudizio. Anche se è diventato per me un abito, il giudizio verso me stessa, e liberarmene equivarrebbe un po’ come rimanere nuda.

A volte mi guardo da fuori. Da fuori mi dico, finché non inciampi non lo sai. Vorrei confessare a chi mi chiede scusa se non fa caso alle barriere architettoniche, se non ricorda se quel particolare ristorante ha scalini o meno, che finché una barriera architettonica non rivela il suo vero significato, che è quello di essere ostacolo, nemmeno io la conosco.

E quando la conosco, poi, una barriera, le chiedo:

“Ma non vorresti essere più distesa, più liscia, anziché sempre così spigolosa e arrabbiata? Io lo percepisco, sai il tuo stato d’animo. Così tanto che fai incazzare pure a me”

“Vorrei incontrare più persone”

La risposta che mi da, la barriera architettonica, è più o meno sempre questa.

Io sempre le rivelo che, se fosse una discesa o una salita senza gradini, incontrerebbe molte più persone.

Al termine della conversazione, la barriera di turno finisce sempre per lanciare il seguente appello:

 

“A chi ne ha il potere, toglietemi tutto ciò che in me impedisce di incontrare ogni persona del mondo”

 

A volte mi guardo da fuori. Da fuori invento e sdrammatizzo. Due settimane fa ho rifatto la tessera della biblioteca. Sono tornata nella Biblioteca vicino casa, dove andavo dieci anni fa. Ci sono i gradini all’ingresso, ma ricordavo ci fossero anche una rampa, una discesa che porta a un parcheggio per le macchine e a una seconda entrata, senza gradini.

 

(Dieci anni fa facevo i gradini. Oggi compiere quella stessa azione mi risulta molto più complesso, quindi devo trovare un’alternativa.)

 

Ero tranquilla, avevo l’opzione rampa o seconda entrata. Due opzioni saranno sufficienti, no? No. Il parcheggio che porta alla seconda entrata? Tutto pieno. La rampa? Porta a un ingresso con campanello.

Il campanello?

Questa è la domanda che si sono fatti i bibliotecari quando lo hanno sentito suonare.

Come si apre la porta alla fine della rampa? Si sono chiesti.

Il tempo di porsi l’interrogativo, ed effettivamente trovarne una degna risposta, io sono diventata invisibile.

Mi succede spesso, in queste situazioni. Di sentirmi trasparente al punto che lo divento.

E da trasparente, sono potuta entrare nella Biblioteca.

Come ho fatto, poi, a ordinare libri e rifare la tessera?

Ovviamente mi sono materializzata di nuovo.

Ho vari trucchi per farlo. Penso a una voce amica, al mio gatto, a cosa manca alla dispensa della mia cucina da ricomprare, a un bel libro. Canticchio nella testa una canzone. Cose semplici, che mi riammettono alla realtà.

Una magia non facile, quella di riapparire.

L’ho compiuta davanti al bancone per fare la tessera.

Tanto gli addetti erano distratti. Non si sono accorti di nulla.

 

 

 

 

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