Le magie avvengono in un attimo, con un colpo di bacchetta che traccia una linea immaginaria.
Luglio è agli sgoccioli, è il 30 del mese. Una macchina, in meno di ventiquattro ore, percorre il tragitto da Roma a San Galgano, e viceversa, isolando il presente dal passato e il futuro.
Perché per arrivare a San Galgano bisogna alleggerire la testa e il cuore. Dimenticarsi del passato e del futuro, per stare nel presente. A raccontare del tempo che scorre ci pensano le nuvole che passano sul suo soffitto, che è direttamente il cielo, la sua pianta a croce latina e le sue mura, tra gotico e romanico, che sono lì dal 1200. In questo luogo si celebra l’incompiuto, ci si scorda del fine, degli obiettivi, di dare un senso alle cose.
Giungo in quest’abbazia senza un tetto, che ospiterà un concerto di Lucio Corsi.
La pioggia dei giorni scorsi non cade più. L’aria fresca è un canto dedicato alla natura che circonda questo luogo, ne esalta i colori e gli odori. Sul viale alberato, “Il cipresso di San Galgano”, che porta all’abbazia, una panchina segna lo spartiacque tra fretta e lentezza.
Le magie avvengono in un attimo, basta esprimere il desiderio giusto. Se capissi come si fa, ad azzeccare il desiderio giusto, lo farei più spesso. Stavolta ci sono riuscita.
Nella navata centrale dell’abbazia, che ospita il pubblico, io sono avanti a tutti, proprio sotto il palco.
Perdono anche i sassolini che compongono il suolo lasciata la strada asfaltata che arriva dinnanzi all’abbazia, che di certo non rendono molto facile usare una sedia a rotelle manuale.
Nell’abbazia a cielo aperto, il palco è posto sotto l’abside, laddove quasi certamente in un tempo lontano era situato un altare.
E, mentre dalle finestre e dal rosone avviene lo spettacolo del giorno che lascia spazio la notte, inizia il concerto.
Le magie avvengono in un attimo, basta che a farle sia un mago. Lucio Corsi lo è.
Appena entra in scena, lo fa aprendo una parete immaginaria fra lui e il suo pubblico.
Ci porta in una dimensione in cui il tempo non esiste più. Potremmo essere nel 1200, quando l’abbazia di San Galgano è stata edificata, o in un futuro indefinito.
Lucio riannoda il tempo, le canzoni, le parole. Torna indietro.
Riprende dal finale della canzone precedente e il tempo lo asseconda.
Perché, oltre al concerto, qui si sta girando un film su pellicola. C’è tutto un universo che ruota attorno a Lucio.
Si frammentano momenti che poi saranno un tutt’uno. Allo stesso modo si disperdono sotto al palco, dietro, tutt’intorno, operatori di ripresa, che, sotto la regia di Tommaso Ottomano, costituiscono un unico organismo vivo, con un cuore che batte all’unisono con noi spettatori.
“Lucio, facciamo che rientri dal backstage”
“Sì ma, sono vestito diverso”
“Tommy, possiamo rifare “Orme”?”
E così, per nostra fortuna, si fa il bis di diverse canzoni come “Orme”, “Il Re del rave”, “Tu sei il mattino”, “Volevo essere un duro”.
Nelle pause di ripresa Lucio ci suona il pianoforte, come fossimo tra amici in una qualsiasi sera d’estate; canta il folklore della sua terra con “Maremma amara”, riprende Toy Story con “Hai un amico in me”.
Lucio corre e il palco crolla, non c’è più. Si può fare un concerto senza palco? Sì, se la band c’è. E la band di Lucio è ricca, una compagnia che lo accompagna in ogni circostanza, e che lui ringrazia sempre, nominando uno per uno i componenti, assieme a tutti coloro che rendono possibili i suoi spettacoli.
Nel cuore della notte una luce ci illumina e siamo meno soli.
Vorremmo rimanere qui fino a domani, e se il sole ci troverà probabilmente ci dissolveremo.
Perché qui si celebrano più le partenze che gli arrivi.
In questa dimensione io sono nell’attimo che sto vivendo, non penso a nulla se non a quello che vedo e che sento. Per me è questa la magia di Lucio Corsi, avviene in un attimo ma poi rimane. È come l’abbazia di San Galgano, sfida il tempo e permane.
Se si è ricoperti di emozioni, raccontarle è difficile. Bisogna toglierle come fossero vestiti, guardarle da fuori per poterle descrivere.
E quando le emozioni diventano ricordi hanno forse il privilegio di apparire migliori nella memoria, anche se perdono l’originalità di quando si vivono. Sono come foglie cadute dagli alberi in autunno e spero che nessuno arrivi a spazzarle via dalla strada come in “Amico Vola Via”. Così ricorderò nel tempo questo concerto, anche se a parole non potrò mai esprimere ciò che ho provato.
Grazie, Lucio per averci voluto nel tuo sogno. Anche per avermi fatta vestire tutta di nero, credo sia stata la prima volta.
Le magie avvengono e tu ne sei una prova.